La vita nascosta degli arabi gay

29/12/2010 di Andrea Mollica

DOPPIA VITA UNICA DIFESA – Beirut però rappresenta un unicum, e le grandi capitali del Medio Oriente rimangono luoghi ostili per chi è gay. Ci sono posti come cinema, bar o hotel dove gli omosessuali si possono incontrare, ma sempre con grande discrezione, se non vera e propria segretezza. Al Cairo la situazione è ancora più difficile, e la preferenza per la comunità LGBT va alle feste private, dove ci si può incontrare e conoscere con più tranquillità. La polizia interviene in Egitto, così come anche in Siria, sulla base della legge che punisce i rapporti tra persone dello stesso  sesso. Ma essere fermati dalle forze dell’ordine non è l’unica paura, perché l’umiliazione delle famiglie cancellerebbe immediatamente legami apparentemente inossidabili. “ Una famiglia in Egitto è formata da molte persone, con amici e parenti che vanno oltre lo stretto cerchio del nucleo formato da padri e figli. Non siamo una società individualistica come l’Occidente, dove ognuno è libero di fare le proprie cose. Qui la parentela è tutto. E’ una splendida prigione ricca di affetti e solidarietà, dove uno ha tutto. Tranne la propria libertà”, confessa Ramy, un gay egiziano. Lo stesso concetto di coming out è descritto dal direttore dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali come un elemento estraneo alla cultura mediorientale. Una simile rivelazione porterebbe a cure consigliate, se non coatte, per correggere le inclinazioni sessuali. Gli stessi medici pensano ancora che chi ama una persona dello stesso sesso sia un malato. Secondo un sondaggio condotto da Helem, quest’opinione è condivisa dai due terzi dei dottori siriani. Per questo la comunità LGBT è costretta a nascondersi dietro false identità, a creare doppi profili Facebook, uno per familiari e amici, l’altro per chi condivide le inclinazioni omosessuali. Una vita faticosa, sempre vigile sui possibili omofobi che spesso si nascondono per picchiare poi i gay o denunciarli alla polizia.

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