Yara: la mamma di Massimo Bossetti attacca la prova del Dna
20/06/2014 di Redazione
Quella di ieri è stata la giornata di una piccola svolta nel caso dell’uccisione di Yara Gambirasio. Il presunto killer ha deciso di parlare e di cominciare a difendersi su tutta la linea, mentre il gip non ha convalidato il fermo dell’uomo, ma ne ha comunque disposto la custodia cautelare in carcere.
LA DIFESA DI BOSSETTI – Dopo il «sono sereno» pronunciato poche ore dopo essere stato ammanettato, interrogato ora in carcere dal gip di Bergamo ora Bossetti, 44enne muratore di Mapello, mantenendo un atteggiamento che gli inquirenti definiscono «poco collaborativo», sostiene di non aver mai visto nè conosciuto Yara e di aver semplicemente incontrato, per caso, il padre della ragazza, una sola volta, su un cantiere, per motivi di lavoro. Insomma, l’unica persona accusata di omicidio respinge al mittente tutti i gravi indizi a suo carico mentre l’ordinanza che gli conferma il carcere descrive una situazione completamente diversa. Il presunto omicida, si spiega, deve rimanere in carcere perché può uccidere ancora, per la «gravità intrinseca del fatto» che ha commesso, «connotato da efferata violenza». Il test del dna che ha fatto luce sul delitto attribuendo a Bossetti le tracce di sangue sugli slip di Yara viene considerata «una prova schiacciante». «Gli elementi raccolti a carico dell’indagato sono precisi e concordanti, sussistono gravi indizi di colpevolezza», si legge poi nella motivazione che conferma il carcere.
LA CREPA TRA COLPEVOLISTI E INNOCENTISTI – Tutto lascerebbe presagire un processo e una condanna esemplare scontate con l’opinione pubblica che esprime giudizio unanime sul verdetto. Se non fosse che – come tra l’altro rileva Marco Imarisio sul Corriere della Sera – si sta allargando con il passare de tempo la crepa tra i due fronti di colpevolisti e innocentisti destinato a dividere l’Italia nei prossimi mesi. Vicini di casa, parenti o semplici conoscenti sembrano aver superato l’iniziale onda colpevolista per tornare ad esercitare dubbi basati sulla conoscenza del presunto killer. «Non è per una gocciolina di sangue che si può mettere in galera una persona», si sente ripetere in giro da più parti. Ma anche qualche esperto comincia a sollevare perplessità sulla consistenza delle prove. In un’intervista al Giornale l’avvocato Giulia Bongiorno ha spiegato che il dna è solo un indizio e che è prematuro definire già chiuso il caso: «Io non dico che quel signore sia innocente, ma neppure è colpevole senza ombra di dubbi. Non sono il suo avvocato e non mi pronunci. Contesto con forza la campagna mediatica che ha già condannato quell’uomo come assassino. Per quanto lo riguarda siamo solo all’inizio dell’indagine. E ancora: «Esiste un gigantesco equivoco: che il dna sia la fotografia di una situazione. Non è così. Non è una foto, ma qualcosa che viene estratto dagli indumenti e porta a creare un elettroferogramma. Una traccia che presenta dei picchi, come un elettrocardiogramma. E come tale dev’essere interpretato, in un modo o nell’altro». E poi: «Ci sono troppi ‘se’ in questa vicenda. Per condannare un colpevole occorre una prova o una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti. Qui il percorso da fare è ancora lungo».
GLI INDIZI DEGLI INQUIRENTI – Sono di parere diverso ovviamente gli inquirenti. Oltre alla prova del dna ci sono infatti da considerare le celle agganciate dal cellulare. L’aggancio del cellulare di Bossetti alla cella realtiva al punto in cui Yara è scomparsa, in particolare, è una circostanza che – come spiegano Maddalena Berbenni e Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera – assume rilievo in una valutazione globale e non isolata degli indizi a carico:
Secondo il giudice «tale ultima circostanza assume rilievo in una valutazione globale e non isolata dagli indizi a carico. Perché se è possibile che il suo cellulare abbia agganciato la cella di Mapello alle 17,45 del 26 novembre 2010 perché per rientrare a casa dal lavoro transitava di fronte al centro sportivo di Mapello (come dichiarato nel corso dell’interrogatorio), se dalla valutazione isolata dell’inizio si passa a quella globale e si collega tale dato a quelli fin qui illustrati, cioè il Dna e il lavoro nel settore edile, la circostanza che il cellulare dell’indagato abbia agganciato la cella di Mapello conferma il quadro probatorio a suo carico in quanto è certo che Bossetti la sera del 26 non si trovava in un luogo diverso da quello in cui è scomparsa Yara».
IL PARERE DELLA MAMMA DEL PRESUNTO KILLER – Infine, la testimonianza della madre del presunto killler. Intervistata da Giuliana Ubbiali per il Corriere della Sera la signora Ester Arzuffi, 67 anni, sulle possibili responsabilità di Massimo Giuseppe afferma: «Non ci credo. Dovrei guardarlo in faccia per capire se dice la verità. Ma non può accadere, perché non è vero». Sulla sua relazione con Giuseppe Guerinoni, che i test del dna ha svelato essere il padre biologico del presunto omicida: «Per gli investigatori è così, per me no, al centro per cento. Non sono mai stata con Guerinoni». «Vivevo – dice – a Ponte Selva come lui. Non lo nascondo. Ma era solo una conoscenza. Mio marito aveva chiesto a lui e a Vincenzo Bigoni di portarmi al lavoro, in auto, alla Festi Rasini, perché già andavano in zona. Poi la sera tornavo in autobus. Ma tra conoscere una persona e avere intimità con lei ce ne passa». E poi sugli indizi e sul dna: «La scienza ha sbagliato. So che vado alla gogna, che mi criticheranno, ma è così».
(Fonte foto: archivio LaPresse)