Il diritto di contare: la recensione, la NASA delle figure nascoste

Il diritto di contare  è basato sul romanzo di Margot Lee Shetterley,  e racconta la vera storia di tre donne afro-americane che nell’America segregazionista si riscatteranno con le loro capacità e talento ponendo le basi per la vittoria nella corsa dello spazio contro l’Unione Sovietica.

 
Il dirtto di contare è tratto dal romanzo Margot Lee Shetterley: “The Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race”,  ed infatti il titolo originale recita poprio “The Hidden Figures”, le figure nascoste  dietro alle quali si sono celate delle menti geniali, con l’unico difetto per l’America razzista degli anni’60 di essere tre donne afro-americane.
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Se i nomi di  Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, non ci dicono nulla e se  a prima vista potrebbe sembrare l’ennesimo pellicola sul riscatto razziale dell’America segregazionista, in realtà il film, come le sue figure, nasconde la realtà  di una storia incredibile di tre donne che probabilmente per il semplice fatto di essere state di pelle oscura ha semplicemente amplificato ulteriormente le loro potenzialità. Il merito principale di questa pellicola perfettamente confezionata con un cast stellare con : Taraji P. Henson (Katherine Johnson), Octavia Spencer (Dorothy Vaughan), Janelle Monáe (Mary Jackson),  Kevin Costner (Al Harrison) Kirsten Dunst (Vivian Mitchell) e Jim Parsons (Paul Stafford), e non è certo un caso che per la notte delle stelle il film sia rientrato nella categoria di miglior film, Octavia Spencer in quella di migliore attrice non protagonista   il regista Theodore Melfi , assieme alla sceneggiatrice Allison Schroeder candidati per la miglior sceneggiatura non originale.
Il film  ambientato ai primi anni ’60 con l’arrivo della presidenza Kennedy, che avrebbe varato  i primi provvedimenti contro la segregazione razziale  e  ben prima dello storico di annuncio di voler andare sulla Luna, mentre l’Unione Sovietica bruciava i tempi conquistando lo spazio con lo Sputnik .
Le tre figure nascoste protagoniste sono la matematica Katherine Johnson, l’ingegnere Mary Jackson  e la responsabile del settore calcolo, che si occuperà in seguito dei primi calcolatori IBM, Dorothy Vaughn. Lavorano a Langley nel  Research Lab di Hampton (Virginia), gestito dal National Advisory Committee on Aeronautics, o NACA, ente precursore della NASA.
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Nel film le 3 giovani di donne lavorano in un’aerea separata destinata ai “colered” come i bagni per donne, e se in un primo momento l’impressione di trovarsi di fronte all’ennesima pellicola sullo scontro razziale che gli Stati Uniti D’America, che anche  di questi  tempi  sembra davvero non essere in grado di superare, il film rapidamente perde la sua connotazione di denuncia se non per alcuni marginali episodi, ed emerge in modo prepotente quello che ha portato l’umanità a conquistare le stelle. Ed è questo il grandissimo merito di questa pellicola che ritornando sul periodo eroico della conquista dello spazio, che era già stato affrontato in The Right Stuff (Uomini Veri, 1983) con i suoi protagonisti, ci porta questa volta dietro le scrivanie dei matematici che si affannavano in calcoli difficilissimi che le macchine ancora non erano in grado di calcolare con precisione ed attraverso la figura di Katherine Johnson, un vero e proprio computer umano, scopriamo l’incredibile storia vera di questa donna e delle sue altre due compagne per portare il primo americano nello spazio.
Il film abbraccia l’intero sviluppo del programma Mercury dove il direttore Al Harrison (un Kevin Costner in una parte assolutamente perfetta per lui) cerca di spronare il suo team di lavoro mentre i russi sono implacabilmente in testa nella corsa verso lo spazio riuscendo a lanciare il primo uomo attorno al nostro pianeta con Yuri Gagarin.
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Il fascino della pellicola risiede tutto nella interpretazioni della attrici capaci di trasmettere non solo l’umanità e la volontà di un riscatto, ma la dimostrazione delle capacità umane a di là del genere o del colore della pelle, e forse è questo il vero messaggio nascosto che si trova all’interno del film, in un epoca dove ancora ci si  stupisce (almeno nel nostro paese) perché una donna italiana sia andata nello spazio, ci si dimentica dei sacrifici e dello studio  che questa ha fatto per realizzare la propria aspirazione.
Dorothy Vaughn interpretata da Octavia Spencer rappresenta una delle prime donne che strappa il ruolo di responsabile occupandosi di apprendere il linguaggio informatico Fortran per comprendere il funzionamento della macchina di calcolo IBM 7090, uno strumento che occupa un spazio enorme, primo computer a transistor con uno spazio di 32k…. i cellulari che hanno  in tasca di tanti giovani sono molto più potenti per fare un paragone. La dimostrazione che con lo studio e l’applicazione si può arrivare ovunque.
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Se la pellicola lascia lo spazio anche la vita familiare delle 3 donne, ai loro problemi familiari per far scorrere la storia, come i dovuti accenni ai problemi razziali, resta il grandissimo merito per un film perfettamente confezionato con una splendida colonna sonora funk-black gospel, alternando immagini reali in bianco nero a quelle a colori, che alla fine ci trascinano nel sogno di arrivare le stelle.
Nota a parte per la presenza di Jim Parsons lo storico Sheldon di Big Bang Theory nei panni di Paul Stafford il capo ingegnere. Per chi è appassionato della sit-com risulta come un elemento di divertimento forse involontario, visto che l’attore a modo suo sembra essere il precursore del suo personaggio, ma questo vale solo per i fan della serie.
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In conclusione un’ottima pellicola che svolge la sua funzione didattica, all’interno del più classico film hollywoodiano,  con  il messaggio che tutti contano nella vita, anche dietro un’oscura scrivania, nel nostro caso  calcolando traiettorie per le orbite,  e genere e colore della pelle non c’entrano nulla per conquistare le stelle, basta solo la volontà  e l’impegno.
La vera Katherine Johnson oltre a contribuire ai calcoli per le missioni Mercury, e verificare la correttezza delle elaborazioni dei primi computer, ha contribuito anche al calcolo della traiettoria per la missione sulla Luna del 1969 dell’Apollo 11.  Se è stato un piccolo passo per un’uomo e un grande balzo per l’umanità, ci è voluto l’aiuto anche di una “calcolatrice umana”, nascosta dietro una scrivania.
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