M83: non solo musica ma un viaggio galattico

Eravamo su un  altro pianeta, ce ne siamo accorti piano piano
a cura di Federico Bonati
Torino – Se me l’avessero detto non ci avrei creduto. Se mi avessero detto che avrei provato picchi di energia trascendentale attraverso la musica, avrei dubitato un po’. Invece è successo. Tutto comincia allo Spazio 211 di Torino: è il primo giorno del TOdays Festival, e in quella location suonano gli M83. Li ho conosciuti con “Colpa delle Stelle” e “Suburra”. I ragazzi hanno talento, mi dico, meritano una trasferta. E così mi imbarco da Reggio Emilia verso la città della Mole (o della Juve, o del Grande Torino, o della Sindone…fate voi). Ascolto i gruppi spalla, ma l’euforia è per quando saliranno sul palco loro. Li ho attesi da così tanto che quasi non mi sembra vero di essere lì. Poi, si parte. L’astronave M83 salpa, sotto la guida del capitano Anthony Gonzalez. Siamo tutti, volenti o nolenti (ma più volenti) a bordo.
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La scenografia aiuta nel viaggio verso le stelle, così come gli accurati giochi di luce. Ma il motore di questa astronave sono le canzoni. Numero uno: “Intro”. I ragazzi ci fanno capire di che pasta sono fatti, e il pubblico lo fa a sua volta, rendendo al palco l’estasi più totale. Ci si perde nel presente di un rock elettronico garbato ed impetuoso, si balla, si canta, si ride, qualcuno si bacia, si posta sui social con un occhio alzato sul palco è uno sullo schermo, si vive. Anche sul palco di vita ce n’è in abbondanza. I brani di “Junk” girano bene, ma i classiconi, magari tratti da “Hurry Up, We Are Dreaming”, sono loro a condurre il gioco. Per l’apoteosi si veda “Midnight City”. In un misto tra elettronica underground, doti vocali impressionanti, rock il giusto (in una concezione contemporanea e non per forza canonica), un sax che ci sta una meraviglia, gli M83 ci conducono in un viaggio verso altri mondi. Poi, come d’incanto, siamo di nuovo a Torino. Si riaccendono le luci, lo Spazio 211 si svuota, molti vanno verso gli show di John Carpenter o di Calcutta. Il concerto è finito, così come il viaggio su un altro pianeta. C’è chi, però, dal prato non si schioda. Iniziano gli immancabili cori, tra cui il sempreverde “Fuori, fuori, fuori”, ma poi i roadies iniziano a smontare. La magia, perchè di magia si è trattato, finisce e resta viva solo nei ricordi e sul web. Ma è dura, per un video, rendere bene l’idea di ciò che si è provato dal vivo. La musica correva veloce (forse un po’ troppo, ma ce le si è fatto andar bene), noi ci siamo accorti di ciò che accadeva in slow motion. Chissà se è questo l’effetto che ha provato Matthew McConaughey in “Interstellar”? Forse. Quel viaggio resta vivo, come ogni cosa che muove emozioni vere.
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