Piccoli Crimini Coniugali, recensione: la crisi matrimoniale del nuovo millennio in bilico tra Kubrick e Von Trier

Con Piccoli Crimini Coniugali, Alex Infascelli, dopo un lungo periodo di oblio dalla sala cinematografica ritorna in grande stile con un noir melò a tinte fosche che attinge a piene mani dal cinema di Stanley Kubrick e dalla visionarietà di Lars Von Trier.

Lo avevamo visto due anni fa alla festa del cinema di Roma ove aveva presentato il suo bel documentario, vincitore del David di Donatello, S is for Stanley, biografia dell’autista personale di Stanley Kubrick, l’italiano Emilio D’Alessandro , ma il docufilm aveva avuto una minima circolazione, ora dopo 12 anni dal suo ultimo film uscito al cinema Il siero della vanità, Alex Infascelli ritorna al buio della sala portando sul grande schermo l’adattamento cinematografico del romanzo di Eric-Emmanuel Schmidt Piccoli crimini coniugali (edito da E/O).
Piccoli Crimini Coniugali, Margherita Buy, Sergio castellitto, Alex Infascelli
Il regista romano, come in una piéce teatrale (dal libro è stato tratto uno spettacolo di successo) dirige magistralmente i due protagonisti, mattatori unici ed assoluti del film: Margherita Buy e Sergio Castellitto.
In Piccoli Crimini Coniugali, la coppia, come poi avverrà nella serie tv di successo In Treatment (il film è stato girato prima) si amalgama alla perfezione e riempe lo schermo di una recitazione di alto livello, sia perché i personaggi sono descritti in maniera sublime sia perché la regia di Infascelli accompagna la coppia, non invade lo schermo, scruta e non disturba; attraverso lunghi pianosequenza e tagli minimi al montaggio il regista vuole lasciare tutto il palco a disposizione degli attori, vuole vederli recitare , interagire tra loro, quasi fossimo di fronte ad un esperimento scientifico che altro non aspetta che la sua conclusione naturale.
Attraverso giochi di luci e ombre degni del miglior Caravaggio, quasi ci trovassimo su di un palco, il film si staglia in una location che è l’anima stessa del film e dei protagonisti, una casa ambigua, fredda e dai mille volti, proprio come la coppia interpretata da Buy e Castellitto. Non si sa dove ci si trovi, da dove provengano i due né si sa nulla del loro passato, ciò che è dato sapere viene poco a poco , sono loro stessi a raccontarsi, quasi fossimo davanti ad una confessione di un efferato delitto. Il film lentamente prende corpo e, grazie ad una musica ad alto effetto, incute ancor più mistero ed aumenta la tensione. I due protagonisti sono in balia di loro stessi, come una barca in mezzo alle onde; uno dei due non ricorda ciò che è successo e l’altro apparentemente pare approfittarsene.
Come due criminali in possesso di una refurtiva che scotta, i coniugi infilano il coltello nella loro crisi matrimoniale e abbattono i loro tabù coniugali a colpi di efferate confessioni e colpi bassi in un duet for one che non lascia scampo e preclude, come nei migliori western leoniani, all’epico finale. Così come l’accendersi della fiamma del caminetto, che a mò di cambio rullo detta il ritmo e l’andamento della narrazione così i due protagonisti bruciano dentro fino ad ardersi completamente.
Imparata la lezione di Kubrick e Von Trier il regista attinge a piene mani dalla violenza psicologica insita nelle loro opere e la pone in scena con efferata violenza verbale, raccontando un film il quale, più che esser visto andrebbe ascoltato.
La verità non è mai ciò che sembra.
Parafrasando Pirandello, una, nessuna, centomila, crisi coniugali.

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