Venezia73: Naomi Watts ci racconta il suo “The Bleeder”

Nella terza giornata del Festival di Venezia, protagonista è l’attrice Naomi Watts che, intervistata dalla stampa internazionale raconta il lavoro svolto per The Bleeder, il nuovo film di Philippe Farledau

 
Enigmatica e sensuale, come nel lynchiano Mulholland drive, in piena intesa col marito, anche lui protagonista nel film Liv Schreiber, l’attrice australiana ha risposto, assieme al regista Philippe Fairledau e al produttore Michael Tollin alle domande della stampa internazionale, curiosissimi di sapere di più sul film.
The Bleeder è la storia vera di Chuck Wepner, venditore di alcolici del New Jersey che nel 1975 resistette 15 round contro il più grande pugile di ogni tempo, Muhammad Ali. La sua storia ha ispirato la serie Rocky, che ha registrato incassi record di miliardi di dollari. Nei suoi dieci anni sul ring Wepner subì due K.O., otto rotture del naso e 313 punti di sutura. Ma le sue lotte più dure furono fuori del ring, dove condusse una vita epica fatta di droghe, alcol, donne spregiudicate, incredibili successi e drammatiche cadute..
 
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Ha mai interpretato ruoli di questo Genere?
Naomi Watts: Credo di aver fatto ruoli simili, ma questo per questo filmè stato diverso. Mi piace molto il presonaggio, la sua saggezza, il suo rapporto con Chuck (Liv Schreiber) e quello che lui le dice. Questa ragazza è piena di spirito. Essendo  noi due anche nelal vita reale una coppia, l’interpretarla sullo schermo può essere un elemento di distrazione; in questo caso prò c’era quel qualcosa in più, non ve lo so spiegare che ci ha fatto rendere al
Liv Schreiber: Linda non poteva essere così più diversa da Naomi. Quando l’ho vista con i leggins leopardati non ci potevo credere.
Come ti sei preparata?
Naomi Watts: Ho passato molto tempo con il mio alter ego Linda. Lei ha uno spirito gioioso, fa le battute ed è stato molto bello immedesimarmi nel ruolo. Ho fatto molti personaggi sull’orlo di una crisi di nervi, ma questo era diverso. La vita e gli anni fanno si che i due protagonisti si incontrino e stiano bene insieme per il resto della loro vita

Philippe Fairledau: ho detto a Chuck Wepner (ex pugile che si scontrò con Muhammad Alì per il titolo dei pesi massimi nel 1975) che volevo fare un film sul vero amore e lui ha cominciato a piangere. Il film non ha come obbiettivo esaltare la vittoria del pugilato, ma che, tramite lo sport, si è trovata la cosa giusta che fa capire il valore della vita.
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Sembra qualcosa di molto diverso dal solito, quasi un film su commissione, vero?
Liv Schreiber: Ho contattato vari registi ma quando ho incontrato Philippe,  ho deciso che volevo fare questo film con lui. In Monsieur Lazahar mi ha commosso, cercavo qualcuno che fosse in grado di commuovere. Non volevo fare un film sul pugilato, la storia è molto più sfumata, sottile. Quando ho incontrato Philippe mi sono sentito a mio agio e ho capito che lui era la persona più adatta per fare questo film con il nostro budget. A metà del film ci siamo ubriacati e vedendo Philippe danzare ho capito che Lui è stata la scelta giusta
Philippe Fairledau: Non sono sorpreso che lastampa, gli spettatori, considerino il fil qualcosa di diverso. secondo me è un film su commissione, io non passerei un anno e mezzo della mia vita su qualcosa di non importante. Sono stato impegnato a livello sociale e politico sul mio film. Ho sempre cercato di trovare un aspetto generoso e veritiero con il mio pubbico. L’approccio è sempre lo stesso, sin dagli inizi della mia carriera.
Cosa vi fa scegliere uno script rispetto all’altro?
Liv Schreiber: Tutto dipende da quanto il film è in grado di toccarmi quando leggo la sceneggiatura. Quanto può, anche se per poco, modificare la mia vita personale, impressionarmi. C’è un qualcosa nel film che rappresenta come una sfida nel mondo; effettivamente il protagonista Chuck avrebbe potuto essere un po’ più malvagio e macchievellico, ma ciò che amo di lui è la sua onestà. Egli ha la capacità di sbagliare e imparare. Chuck è completamente in grado di ammettere i propri errori.
Naomi Watts: Quando sleggo una sceneggiatura e decido di fare il film, questa deve trasmettermi qualcosa, deve avere per me un significato, non deve essere una cosa fredda che si leggge così giusto perchè lo si deve fare. Secondo me tutte le forme d’arte esistono per aiutare le persone a connettersi con se stesse. Quello che dai da attrice alla storia e alla narrazione spero riesca a commuovere le persone perciò devo avere una reazione  istintiva chimica con il copione.
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Come si riesce a stilare i costi di un film con persone ancora in vita?
Michael Tollin: Si cerca solamente di mettere insimee molti talenti. In questo film abbiamo avuto attori strabilianti. L’approccio al film era difficile, la tematica, come veniva affrontata la storia,  però effettivamente bisognava avere qualcuno con cui trovarsi a proprio agio. l’unica grande questione per Philippe era come ritrarre l’aspetto più vero, l’essenza  del pugilato, e credo ci sia riuscito a pieno.

Lo stile del film, la fotografia è molto granulosa?
Philippe Fairledau: Si, vero, volevo proprio che ci fosse questo aspetto così simile allo stile grezzo dei film di fine anni ’70, lo stesso periodo in cui è ambientato il film. Volevo dare ritmo ed avvicinarmi ai personaggi. Liv nelle scene dei combattimenti ha deciso di subire i colpi sul ring senza controfigure e questo ha aiutato molto.
Ha fatto ricerche o guardato altri film sul Pugilato? 
Philippe Fairledau: Si, ho fatto ricerche però non ho guardato alcun film precedentemente realizzato sul pugilato. Non volevo subire alcun tipo di condizionamento.

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