“Spiego ai bambini chi è Falcone, perché anche a 13 anni si può essere mafiosi”

Intevista a Luigi Garlando autore del libro “Per questo mi chiamo Giovanni”

Luigi Garlando è uno dei più bravi giornalisti italiani, scrive per la Gazzetta dello sport, ma scrive anche molti libri per ragazzi, incentrati sui valori positivi del calcio. Ma è anche autore di uno dei libri per ragazzi forse meglio riusciti. Si intitola “per questo mi chiamo Giovanni”, un racconto in cui viene descritto Giovanni Falcone e la sua vita, agli occhi di un bambino di dieci anni, cui il padre è stato vittima di un tentativo di estorsione. In questo romanzo ci sono mafia, prevaricazione, bullismo, vite spezzate, ma anche voglia di andare avanti e fare in modo che il prezzo alto che la Sicilia paga per le sue piaghe non sia speso invano. Il tutto con una dolcezza che porge temi impegnativi anche ai più piccoli.

Lei è stato tra i primi in Italia a provare a spiegare le stragi di mafia ai più piccoli, li considera la base della legalità?

È una intuizione già avuta da Falcone e Borsellino che consideravano i giovani il futuro della legalità, andando nelle scuole a insegnare e ad educare fin da piccoli. Il bullismo ha gli stessi meccanismi omertosi. Per cui i bambini possono già imparare a capire i meccanismi mafiosi.

Il romanzo prende il via da delle angherie fatte dal figlio di un capomafia ad altri bambini, la ribellione a questi atteggiamenti di prevaricazione aiuta già da piccoli a non lasciare solo chi combatte la criminalità?

La cornice del bullo serviva come primo messaggio che la mafia non è un modo o uno status e che non dipende dall’essere nati in Sicilia. Si può essere mafiosi anche a 13 anni a al nord. La mafia riguarda tutti, da piccoli. Il primo spot mafioso parte dal pensiero dell’esserlo. Non bisogna mai pensare che sia un problema che non riguarda solo perché non si abita al sud o perché si è piccoli. La mafia poi è anche più pericolosa, se prima mostrava i muscoli come King Kong adesso è più il mostro di Loch Ness, viaggia sottotraccia e ama non farsi vedere. Non si vede ma c’è.

Cosa ha spinto un giornalista sportivo a scrivere un romanzo antimafia?

L’idea era nata a Bologna alla libreria Stoppani, una mia amica libraia mi ha suggerito di inventare un romanzo con un eroe positivo, ma vero senza superpoteri. Dare un esempio ai ragazzi che si può vivere una vita da reclusi come topi, sacrificando tutto per un ideale e per ciò in cui si crede. Offrire un punto di riferimento ai ragazzi, che leggono sport, ma hanno bisogno di eroi. Invece di offrire l’immagine di un eroe della domenica ho provato a dare loro un eroe diverso.

Il romanzo è un compendio di come si può essere Palermitani, nel bene e nel male, lei è riuscito a scrivere proprio come un palermitano, frutto dell’aiuto di Maria Falcone o si è fatto una trasfusione di “palermitudine”?

Sento una sintonia con Palermo che non so spiegare, forse l’aria o la luce o il mare, mi sento come a casa, oltre ovviamente ad averla girata per documentarmi. Amo la cultura, la storia, sento una affinità. È uscito tutto insieme. Non riesco a sentirmi così a casa in altri posti di mare o che gli somigliano.

Come si può porgere con dolcezza ai bambini una realtà fatta di violenza, sangue, sopraffazione, illegalità. Non si corre il rischio di creargli la sindrome del lupo cattivo?

La sfida che più mi ha attratto è stato il linguaggio da adoperare, da un lato non ergersi a grillo parlante rischiando di diventare noioso, cosa che detesto, se penso che magari un bambino legge per primo quel libro. Poi però avevo il dovere di rispettare la sacralità della vicenda, il fatto che erano morte delle persone, quindi non farlo diventare un fumetto. Mi ha aiutato l’uso delle metafore, il fatto che il papà non racconta solo chi era Falcone ma porta il figlio a conoscerne i luoghi natii, con i simboli che lo rappresentano, in queste curiosità e tenerezze in metafore, li ha condotti verso un tema più profondo, con molta più dolcezza e meraviglia. Tra l’altro nella prima versione del romanzo c’era un finale ancora più crudo, la mamma del protagonista moriva nell’incendio appiccato dagli estortori, la fine avrebbe avuto un punto alto di dramma, il bambino avrebbe detto che la giornata non gli era piaciuta e che non se ne faceva nulla degli eroi. Salvo poi dopo una notte insonne capire e chiedere scusa al padre, comprendendo che tutto quel sangue non era stato versato inutilmente. Poi abbiamo scelto, di concerto con la casa editrice, un finale meno drammatico, nel timore che i bambini confondessero una morte finta con quelle vere.

Questo è un testo che potrebbe benissimo essere adottato nelle scuole come materia di educazione civica..

Lo è quasi diventato, molte antologie lo hanno preso, mi fa onore, anche che ne sia stato tratto un film per le scuole, è giusto per me andare oltre i soliti libri datati, per far capire ai bambini leggendo piacevolmente, qual è la realtà del momento, oltre che la storia.

Come si è mostrata Maria Falcone, nel coadiuvarla in un progetto di un libro sul fratello in chiave totalmente diversa dagli altri?

Molto entusiasta, perché parla facilmente ai ragazzi. Ho conosciuto la parte umana di Giovanni Falcone, è stato emozionante quando mi ha fatto veder il tavolo dove Falcone allineava gli assegni per ricostruire le tracce dei movimenti economici dei mafiosi. Mi ha emozionato vedere le foto, ancora adesso ci invitano per le scuole, tra cui quella di Calimera, luogo di nascita di Montinaro, morto con Falcone.

Che opinione ha del Giovanni Falcone uomo?

Mi ha colpito la sua intransigenza, un punto di riferimento altissimo, la sua dedizione alla causa della legalità quasi è come l’orizzonte, sai che c’è ma non riuscirai mai a raggiungerlo. Io ho una figlia da poco, mi ha colpito la sua coerenza e il sacrificio personale di non fare figli “per non mettere al mondo orfani”, in una epoca di squallore politico e umano, di immoralità e politica vergognosa, sarebbe da pensare a lui per sopportare meglio lo schifo che ci arriva da bollettini vari. Mi viene l’indignazione a pensare alla sua solitudine e a quella di chi ancora adesso combatte da solo contro l’illegalità, tra le zone grigie di parti di stato e di criminalità che si toccano, che toglie fiducia proprio a chi sta sul campo.

Alla luce delle nuove teorie stragiste con commistioni di servizi deviati, con le istituzioni che non sono tutte e completamente dalla parte “giusta”, con schegge impazzite presenti nelle maggiori stragi, come spiegherebbe ai bambini che anche lo stato in cui devono imparare a credere non è del tutto puro, ma ci sono zone contaminate? Visto che anche nel romanzo emergono colori netti e si cerca di individuare con chiarezza il bene e il male.

Non so cosa rispondere, sarebbe come dire che la maestra sta dalla parte del bullo, come togliergli dei punti di riferimento, l’unico modo sarebbe forse provare a trasmettere gli stessi dettami di Falcone, quelli per cui la mafia è un fenomeno umano e come tale destinato ad esaurirsi, provandogli anche a far tenere gli occhi aperti.

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